La pandemia non aiuta

Scienziati preoccupati per l'aumento dell'antibiotico-resistenza

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Continuano gli approfondimenti sul tema dell’antibiotico-resistenza con un prezioso contributo di Andrea Summer, Professore Ordinario di Zootecnica Speciale presso Dipartimento di Scienze Medico-Veterinarie dell’Università degli Studi di Parma.

L’attuale emergenza Coronavirus ha sicuramente distolto la nostra attenzione dalla problematica dell’antibiotico-resistenza. Nel contempo, tuttavia, questa pandemia può aiutarci a riflettere su quanto sia importante fare un uso corretto dell’antibiotico.

Non sono ancora disponibili molti dati sulle infezioni secondarie causate da ceppi di batteri resistenti agli antibiotici in pazienti malati a causa del SARS-CoV-2. Gli studi riportano dati abbastanza differenti tra di loro. Infatti, infezioni secondarie sono state riportate nel 5%-27% degli adulti con infezione da Coronavirus in diversi ospedali in Cina e infezioni secondarie sono state identificate nel 13,5%-44% dei pazienti in terapia intensiva affetti da Covid.

Il tipo più comune d’infezione tra i pazienti in terapia intensiva è stata la polmonite fungina o batterica; ma sono state osservate anche infezioni del tratto genito-urinario e del flusso sanguigno.

Inoltre, nello scenario attuale, circa il 20% dei pazienti con Covid-19 sviluppano complicanze come sepsi, venendo così a contribuire tristemente al già elevato numero dei decessi per sepsi, cioè quella disfunzione d’organo causata da una risposta disregolata dell’organismo ad un’infezione. Si tenga presente che, secondo le più recenti direttive, anche per il contrasto alla sepsi è necessario usare in modo adeguato gli antibiotici poiché per contrastarla è indispensabile un uso appropriato e responsabile di questi farmaci.

Le diverse modalità di rilevamento dei dati sulla insorgenza di super infezioni in pazienti Covid-19, o la loro mancanza, hanno portato a una difformità delle informazioni che ci rende più difficile capire quanto queste super infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici abbiano giocato, e giochino tutt’ora, un ruolo pesantemente negativo in questa emergenza che stiamo ancora vivendo.

Se questi dati non sono così concordi lo è invece la preoccupazione che la pandemia possa portare a un peggioramento e ad una accelerazione della problematica dell’antibiotico-resistenza.

Infatti, le operazioni e le cure effettuate in terapia intensiva per la Covid-19 hanno fatto sì che l’antibiotico-resistenza e le infezioni correlate all’assistenza siano diventate un problema ancora più rilevante nel corso dell’epidemia.

In Italia, tra le complicanze della Covid-19, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la sovra-infezione è presente nel 12,4% dei pazienti deceduti e la terapia con antibiotici è stata usata nel corso del ricovero nell’84% dei casi, e secondo gli ultimi dati oltre il 90% dei pazienti, di cui sono state analizzate le cartelle cliniche, ha ricevuto una terapia antibiotica empirica.

Nell’emergenza Covid-19 si è visto che i pazienti fragili, che possono essere portatori di germi multiresistenti perché trattati ripetutamente con antibiotici, sono quelli a maggior rischio di sviluppare un contagio da tali germi, durante la loro permanenza in terapia intensiva, luogo ad alto rischio per l’antibiotico-resistenza.

Tutto questo ci deve far riflettere profondamento sulla problematica dell’antibiotico-resistenza, che, nell’ottica dell’approccio “One Health”, ovvero che vi è una sola salute, diventa un impegno diretto per ciascuno di noi.

L’approccio “One Health” promuove e sviluppa una visione della salute che riguarda l’uomo, l’animale e l’ambiente nel loro insieme. Ogni settore deve portare il proprio contributo senza scaricare, o imputare, le colpe ad altri settori.

Quindi, ciascuno di noi può fare la propria parte in questa importante lotta all’antibiotico-resistenza. Indubbiamente, il comparto zootecnico può fare molto, e molto sta facendo.

Il Ministero della Salute ha previsto una riduzione del 30% dell’utilizzo degli antibiotici nei prossimi tre anni.

Molte iniziative sono state attuate per raggiungere questo primo obiettivo di riduzione.

Nel settore zootecnico pensiamo all’introduzione della figura del veterinario aziendale e della ricetta elettronica, ai sistemi di monitoraggio quali il Classyfarm e alla restrizione all’uso degli antibiotici e, in particolare, di quelli classificati come Antimicrobici di Importanza Critica.

Per un efficace contrasto all’uso degli antibiotici in allevamento devono essere coinvolte tutte le figure professionali presenti, quali il medico veterinario, l’allevatore e il personale addetto, che devono stabilire un piano di azione e insieme attuarlo.

Questo piano d’azione deve puntare sulla prevenzione e prevedere azioni di biosicurezza per evitare l’introduzione di malattie all’interno dell’allevamento, una corretta igiene e pulizia, un ottimale benessere animale.

L’uso dell’antibiotico deve essere limitato ai casi effettivamente necessari, e seguendo sempre un protocollo stilato dal medico veterinario, che avrà individuato il corretto antibiotico in base a test diagnostici mirati sul singolo animale.

Il monitoraggio dell’uso dell’antibiotico, derivato dalla introduzione della ricetta elettronica e dalla implementazione di sistemi di monitoraggio, quali Classyfarm (sistema integrato finalizzato alla categorizzazione dell’allevamento in base al rischio, che tiene conto anche del consumo di farmaci antimicrobici), non devono essere visti come sistemi di controllo, ma, invece, come stimolo e aiuto per migliorare la nostra gestione dell’allevamento.

Siamo consapevoli che possiamo, come avviene in altri paesi, fare un minore uso di antibiotici in campo zootecnico. Sappiamo che abbiamo sempre più strumenti analitici per poterlo fare, come, per esempio, test diagnostici per la scelta dell’antibiotico o la misura delle cellule somatiche differenziali che ci permette di prevedere meglio quanto elevata sia la possibilità che una bovina da latte possa andare incontro ad un’infezione della ghiandola mammaria nella lattazione seguente.

Non dobbiamo creare allarmismi ma lavorare, ognuno nel proprio ambito, per arrivare a contrastare sempre più la problematica dell’antibiotico-resistenza, a tutela della “One Health”.

Per raggiungere una salute ottimale per le persone, gli animali e il nostro ambiente, l’obiettivo comune è quello di ridurre il più possibile l’uso dell’antibiotico.