In frazione Picchi di Cherasco, l’azienda agricola era un tempo di proprietà del conte Mantica

Alzando lo sguardo, l’orizzonte è costellato di colline. Sulle sommità, palazzi e castelli probabilmente un tempo abitati da nobili e proprietari terrieri. Signori dell’altro secolo, che affidavano la gestione di casolari e cascine a mezzadri e braccianti, da cui dipendevano le scorte alimentari del palazzo.

Una di queste era Cascina Tre Fornelli, sui morbidi rilievi di località Picchi (Cherasco), dove all’inizio del secolo scorso prende il via l’avventura di Agostino Cavallotto (classe 1909), bracciante agricolo al servizio del conte Mantica, signorotto locale che oltre a quel casolare ne possedeva altri.

E infatti, prima di arrivare qui, Agostino – fin da bambino – lavora al servizio del conte in altre cascine, occupandosi sempre del lavoro nei campi e nelle stalle.

L’ARRIVO IN CASCINA

Sono gli anni Trenta, la Grande Guerra non ha lasciato strascichi particolari, e nei giorni di San Martino – il periodo dove tipicamente venivano rinnovati i contratti agrari – Agostino prende in mano con il fratello Michele la gestione di Cascina Tre Fornelli (chiamata così perché un tempo dava ospitalità a 3 famiglie diverse, con oltre trenta persone che ci gravitavano attorno). Con lui c’è la moglie Matilde Marengo (classe 1912), che con impegno e costanza contribuisce a portare avanti famiglia e attività. Una piccola stalla che ospitava una ventina di capi e decine di giornate da coltivare, con la difficoltà di recuperare l’acqua necessaria per l’irrigazione. E mentre Agostino suda nei campi, sull’Europa soffiano i venti di guerra: il fratello è costretto a partire per il fronte (dal quale riesce miracolosamente a tornare), mentre il conte Mantica deve fuggire dalle rappresaglie dei nazisti alla ricerca delle brigate partigiane che si aggirano tra le colline delle Langhe e del Roero. È piena notte quando, a pochi giorni dalla Liberazione dell’Italia, è lo stesso proprietario della cascina a chiedere aiuto ad Agostino e Matilde: saranno loro a nascondere nel sottotetto il conte per alcuni giorni, impedendo così alle ronde tedesche di trovarlo, e a sotterrare, in un campo poco distante dalla stalla, decine e decine di armamenti che avrebbero potuto finire in mano ai nazisti.

Ad assistere a queste scene ci sono anche i primi figli di Agostino: Margherita (’42), Sebastiano (’43) e Giorgio (’44). Perché la vita, nonostante la guerra, va avanti.

Archiviata la triste pagina del secondo conflitto mondiale, si arricchisce di nuovi arrivi. Giovanni (’47), Mario (’48) e Piera (’50) completano la famiglia, che con sacrifici e impegno può finalmente riscattarsi.

UOVA E BURRO

Uova e burro. È praticamente grazie a questo che Agostino riesce ad acquistare la cascina, messa in vendita dal conte Mantica al termine della guerra. Il latte munto a mano dalle vacche viene trasformato in burro, conservato nella fresca cantina del casolare, mentre nell’aia si raccolgono le uova che le galline regalano ogni giorno. Inforcato il carrettino, caricato di tutto l’occorrente, Agostino parte così a piedi – almeno un paio di volte alla settimana – per raggiungere il mercato di Cherasco e vendere i prodotti della terra. A volte li scambia con qualcos’altro da mettere in tavola, il più delle volte riesce a incassare dei soldi. Ed è con questi che – come ha sempre ricordato anche alle generazioni successive – che è riuscito a comprare la cascina e le 80 giornate di terreno che la circondano. 

Diventato proprietario, Agostino decide d’investire sull’azienda. Nei primi anni Sessanta costruisce una nuova stalla, per ospitare circa 60 capi piemontesi. S’introduce la mungitrice, si raccoglie il latte nei bidoni, si trasforma la vecchia stalla in un portico.

Giorgio e Sebastiano, i due figli rimasti in cascina, prendono in mano le redini dell’azienda agricola. Sono loro a guidare l’ammodernamento e l’ampliamento della mandria, a seguire la costruzione della nuova casa accanto a quella di un tempo (anni Ottanta), a farsi carico degli impegni quotidiani nei campi.

LA FAMIGLIA

Sebastiano, inoltre, ingrandisce anche la sua famiglia: dopo il matrimonio con Alessandra Rigotti (nel ’73), nascono Marco (’74), Walter (’75), Simone (’78), Davide (’79), Elena (’84) e Sara (’87).

Gli anni Novanta sono quelli della svolta, del passaggio alla produzione esclusiva di latte. Causa risanamento dell’allevamento, Giorgio parte per la Germania e acquista le prime venti vacche frisone. È un cambiamento radicale, una gestione totalmente diversa dell’allevamento.

Anno dopo anno, nella stalle vengono apportati dei miglioramenti: nel ’96 arriva il trasporto latte, mentre sette anni più tardi Simone prende la guida dell’azienda. Con lui arrivano l’acquisto dell’ultima porzione di cascina (che era rimasta di proprietà di un’altra famiglia) e, soprattutto, la costruzione della nuova grande stalla (60 cuccette), progettata secondo i più moderni standard di benessere animale, che si estende dietro l’immobile storico, godendo di una vista meravigliosa sulle dolci colline circostanti.

Con la stalla arriva anche la sala mungitura e si perfezionano i sistemi di alimentazione, che Simone ha anche approfondito durante un viaggio studio in Inghilterra nel 2007 focalizzato sulla gestione delle fecondazioni e dell’utilizzo dei pascoli.

Con la moglie Debora Dogliani (con cui è convolato a nozze nel 2008), Simone cresce due figli: Linda (2010) e il piccolo Gioele (2019), che oggi sgattaiola tra le corsie delle stalle e non perdere occasione per salire sopra un trattore. Una nuova generazione che si affaccia alla vita e che, questo l’augurio, potrebbe portare avanti una tradizione ormai secolare.

LA CARENZA D’ACQUA

Una veduta complessiva dell’azienda agricola

C’è però qualcosa, oltre alla passione per questo mestiere, che non è cambiato in tutti questi anni: la carenza di acqua che, specialmente in una stagione così compromessa come quella che stiamo attraversando, rischia di compromettere i raccolti e mettere in difficoltà gli allevamenti. Qui i terreni si irrigano solamente con i canali, alimentati anche grazie all’acqua che proviene dalla diga di Entracque. Ma c’è un progetto – che si spera possa andare in porto, portato avanti dal Consorzio irriguo “Canale Sarmassa” – per creare un piccolo invaso, ad appena 600 metri dalla cascina, che risolverebbe i problemi di molti agricoltori della zona: un investimento per il futuro dell’agricoltura e di chi ogni giorno ci permettere di mettere sulla tavola un pasto.