Tutti i segreti della bagna caöda

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Con l’arrivo della stagione autunnale, lasciandoci indietro il caldo estivo e tornando ad assaporare il tepore di un camino acceso e di una tavola imbandita, nei nostri territori non si può non pensare alla bagna caoda, un piatto divenuto appuntamento irrinunciabile, che si può gustare nella sua versione originale, ormai da tanti anni, proprio a Faule. Una ricetta popolare piemontese che gode di tanta notorietà e che ha portato questo piccolo Comune di 400 abitanti, immerso nel verde della pianura sulla riva destra del Po, a essere conosciuto ben oltre i suoi confini, con un pullman che in occasione della sagra arriva ogni anno persino dalla Liguria.

La 26ª edizione della festa dedicata alla bagna caoda si aprirà ufficialmente giovedì 6 ottobre dando il via a un calendario ricco di eventi e naturalmente alla degustazione di questo prodotto tipico, il tutto nel pieno rispetto dello slogan della manifestazione, ovvero “Mangiare è un rito, saper mangiare è un’arte senza eguali”. Giornate intense che ci racconta il sindaco Giuseppe Scarafia.

Quando e com’è nata questa tradizione della sagra dedicata alla salsa contadina detta “del pover’uomo”?

«Curiosamente, nonostante si tratti di una ricetta originaria del territorio, la festa è nata, 26 anni fa, in seguito al gemellaggio con la città argentina di Humberto I, nella provincia di Santa Fe, che propone un evento analogo annuale per ricordare l’arrivo di tanti immigrati piemontesi a fine Ottocento. Abbiamo deciso quindi di organizzare un appuntamento simile anche a Faule, appuntamento che nel tempo è cresciuto diventando davvero la nostra manifestazione di riconoscimento, in grado di richiamare tantissime persone».

Secondo lei qual è il segreto di tanto successo? Quando avete capito che la sagra stava diventando di così grande rilievo?

«Una quindicina di anni fa, quando ero presidente della Pro loco, abbiamo cominciato a renderci conto della portata della manifestazione, che continuava a crescere. In effetti parliamo di 10, 12 mila coperti (in cinque serate più il pranzo della domenica) prima della pandemia, e tutto quanto viene gestito dai volontari della Pro loco. Credo che una delle motivazioni, oltre naturalmente alla bontà del piatto, sia da ricercare nel fatto che si tratta di una ricetta impegnativa da preparare in casa e forse è diventata una tradizione anche per i gruppi di amici venire a gustarla da noi».

Quali sono gli ingredienti della ricetta faulese? C’è anche la panna?

«Olio, acciughe del Mediterraneo, aglio rigorosamente di Caraglio e sì anche l’aggiunta di panna, che conferisce alla salsa un sapore più delicato. Poi naturalmente ci sono tutte le verdure che accompagnano l’intingolo. Sono verdure sempre del nostro territorio, come il peperone di Carmagnola e il porro di Cervere. Quest’anno inoltre il menù prevede altri prodotti tipici grazie ai recenti gemellaggi gastronomici che abbiamo stretto con il Gorgonzola di Cavallermaggiore e con il Forte di Bard. Inoltre abbiamo ufficialmente registrato la nostra ricetta e il nuovo marchio sarà presentato all’inaugurazione».

La pandemia ha rallentato un po’ l’organizzazione della festa?

«C’è stato un inevitabile freno, ma noi non ci siamo mai fermati del tutto. Abbiamo continuato a proporre l’evento seguendo le regole previste, su prenotazione. Questo è il primo anno che torniamo senza necessità di prenotazione, a parte i gruppi numerosi cui consigliamo di prenotare per poter stare tutti insieme».

Ogni anno viene anche conferito il Fujot d’oro, che cosa rappresenta questo riconoscimento?

«È una tradizione che compie 17 anni. Ogni volta scegliamo una persona che si è distinta nella promozione del nostro territorio. Negli ultimi due anni, tristemente segnati dal Covid, lo abbiamo dato all’assessore regionale alla Sanità Icardi e al personale sanitario residente a Faule. Per quest’anno non lo rivelo ancora, sarà una sorpresa».

Ma Faule non è solo bagna caoda, quanto influisce anche il fiume Po nella storia di questo paese?

«Il Po fa parte di noi, nel bene e nel male, perché in alcuni casi ci crea anche dei problemi. Certo Faule è storicamente legato al fiume e ancora oggi proponiamo, in primavera, la Festa del Po: insieme ad alcune iniziative collaterali, allestiamo momenti gastronomici a base di pesce di fiume, quali anguilla in carpione e trota al cartoccio. L’acqua e il faggio che spiccano sullo stemma del Comune testimoniano il forte legame che la gente di questa terra ha avuto con il fiume. Oggi abbiamo una bella area di 7 chilometri, che fa parte del Parco del Monviso, molto frequentata da numerose famiglie e ragazzi».

Ci spiega meglio lo stemma comunale, che riporta anche la scritta “In viridi virtus”?

«Il motto significa “nel verde la virtù”, che sottolinea la vocazione agricola del posto. Inoltre nello stemma ritroviamo il faggio e il lago. Il nome del paese deriva probabilmente dal latino fagus, cioè faggio, pianta che un tempo prosperava in quest’area alluvionale. In molti scritti storici inoltre si menziona la presenza di un lago piuttosto esteso. Infatti celebriamo anche la Festa della Madonna del Lago, ricorrenza religiosa al santuario, con tanto di processione».

Questa è una terra dunque di agricoltori…

«Esatto. Principalmente si coltiva mais. In passato c’erano più allevamenti di bestiame, ora siamo tutti orientati sul mais. Ci sono soltanto più due famiglie di margari. Tendenzialmente, per fortuna, i giovani portano avanti le aziende di famiglia».

È ancora attivo il gemellaggio con la città argentina?

«Sì, è fortemente vivo. Ogni volta che hanno occasione gli argentini vengono a farci visita e anche noi siamo già stati ospiti da loro. Alcuni giorni fa è venuto a Faule il sindaco di Humberto I, per celebrare insieme il 25° anniversario del gemellaggio. È un legame molto sentito da entrambe le comunità e in occasione di questo anniversario abbiamo anche rinnovato il logo che simboleggia la nostra amicizia».