ENVIE
Viste da qui sotto, le montagne sembrano ancora più imponenti. S’innalzano maestose, così alte che sembra impossibile raggiungere la vetta. Ma seppur tortuoso, c’è un sentiero che s’inerpica lungo il pendio e conduce in cima, da dov’è possibile ammirare il panorama e tutta la strada percorsa per arrivare fin là. In vetta si respira un’aria più fresca che ripaga di tutti gli sforzi e i sacrifici fatti per raggiungerla.
Così può essere raccontata l’avventura della famiglia Rubiolo, che nella piccola cascina in località Sant’Angelo ha saputo sempre affrontare a testa alta le sfide che il destino le ha riservato.
E oggi, con alla guida dell’azienda agricola le nuove generazioni, guarda con orgoglio il lungo cammino percorso, pur senza mai spostarsi di un centimetro.
Perché in quel casolare che sorge proprio a fianco dell’antica cappella dedicata a Sant’Angelo (secondo alcune ricerche dovrebbe essere il più antico edificio religioso costruito a Envie, già nel XIV secolo), dove le pendici del Monte Bracco iniziano a fondersi con la pianura, tutto è cominciato.
LE RADICI
Sono gli inizi del Novecento quando il bisnonno Stefano deve già affrontare la prima prova: rimasto vedovo molto giovane, si risposa con la sorella della compianta consorte.
Con Teresa Calosso, donna d’altri tempi, ricomincia una nuova vita. Nascono tre figli: Stefano, Bartolomeo (1912) e Giuseppe. Sono anni duri e difficili, con la prima guerra mondiale che imperversa in Europa e poi con l’arrivo della dittatura fascista. Ma in casa non ci si perde d’animo. Le due vacche nella stalla sono sufficienti a sfamare le bocche di tutti, mentre – non appena sono abbastanza grandi da badare a loro stessi – i bambini sono mandati a lavorare a servizio nelle altre cascine.
Intanto, oltre a governare gli animali e coltivare quel piccolo pezzo di terra accanto alla tettoia, il bisnonno Stefano si diletta nella costruzione di oggetti di legno: la sua abilità richiama clienti da tutto il paese, in particolar modo gli appassionati al gioco delle bocce. Stefano è davvero eccezionale nel costruire, con un piccolo tornio artigianale, delle perfette bocce in legno. Scelto con cura il pezzo da levigare, passa delle giornate intere a renderlo perfettamente sferico, trasformandolo in un oggetto per trascorrere piacevoli momenti di svago.
SI PARTE DALLA TETTOIA
I figli crescono, così come la paura di vederli partire per il fronte e non più tornare. Fortunatamente, la Seconda Guerra Mondiale risparmia i ragazzi della famiglia Rubiolo, che poco per volta trovano la propria strada. Il primogenito si trasferisce in un casolare poco distante, più verso la pianura, così come Giuseppe che lascerà il luogo dov’è nato dopo essersi sposato.
Anche Bartolomeo decide di metter su famiglia: Lucia Besso Pianetto (classe 1920), di Barge, è la donna che lo accompagnerà per tutta la vita e che gli regalerà quattro figli: Stefano (1944). Giovanni (1946), Angelo (1949) e Teresa (1959). A tavola ci si stringe, ma non mancano mai i prodotti della terra e degli animali che sotto la vecchia tettoia davanti casa producono latte che Lucia trasforma in formaggio e burro. Prodotti autentici, che al mercato del mercoledì a Revello vanno a ruba tra i paesani.
È proprio la sistemazione della tettoia il primo passo verso l’oggi: nel ’55, dopo aver acquistato una piccola porzione di terreno confinante, Bartolomeo decide di ricostruire il ricovero. La terra argillosa che aveva tenuto insieme pietre e rocce, lascia spazio a cemento e mattoni. Ognuno in famiglia porta il suo contributo, ma è Angelo ad avere una passione innata per la terra. Poco più che ragazzo si sposta a servizio in altre cascine: prima a Cavallerleone, poi in località Canapile. Cinque anni da garzone, fino al 1972 quando – anche per l’aggravarsi delle condizioni di salute del papà – ritorna a Envie, lì dov’è nato e cresciuto.
UNA NUOVA STAGIONE
È proprio in quell’anno che Bartolomeo decide di dividere la proprietà tra i figli e che Angelo, acquistando le rispettive quote dai fratelli, resta in cascina.
Dodici vacche piemontesi, un maiale e tanta voglia di lavorare. Da qui si parte. E da qui la storia della famiglia Rubiolo s’intreccia con quella di Biraghi. Da quel momento, il latte munto in quella cascina ai piedi del Monte Bracco prende la strada di Cavallermaggiore per essere trasformata in formaggio: una strada che continua a percorrere ancora oggi, senza essersi mai interrotta. Nel ’76 arriva la nuova stalla: 25 metri, pronta a ospitare altre vacche che non tardano ad arrivare. Alla fine saranno una cinquantina, tutte munte a mano.
E mentre cresce l’azienda (nell’85 la stalla viene ampliata ulteriormente) cresce anche la famiglia: dopo il matrimonio con Maria Barbero (classe 1962 di Envie), arrivano in rapida successione i figli Diego (1982), Guido (1985), Paola (1987) e il più giovane Marco.
Proprio nell’anno di nascita del più piccolo (1991), Angelo è costretto a ripartire da zero. A causa di un risanamento aziendale, si è costretti a vendere tutti i capi e acquistarne di nuovi. In questo momento, si affacciano per la prima volta in stalla delle vacche frisone, anche se la prevalenza resta di piemontesi. Con il nuovo millennio (2000) in azienda arriva anche il carrello per la mungitura, mentre i capi continuano ad aumentare e le nuove generazioni a farsi avanti.
LE NUOVE GENERAZIONI
È Marco, appena terminata la scuola media e dopo aver fatto una breve esperienza da dipendente, a sentirsi incaricato di portare avanti l’eredità della famiglia. Nel 2006 entra come coadiuvante del papà ed è con lui che affronta un’altra dura prova: nel 2011 è costretta a un nuovo risanamento, che blocca la mungitura per quasi un anno. Quando si riparte, nella stalla ci sono 30 piemontesi e 6 frisone. Poco per volta l’azienda si struttura, finché nel 2019 Marco diventa ufficialmente titolare dell’impresa insieme al fratello Guido (che svolge anche la professione di muratore): a settembre s’inizia a costruire la nuova stalla, terminata in meno di tre mesi, dotata di sala mungitura e tutti i confort per il benessere animale.
Oggi in azienda ci sono circa 200 capi (140 frisone e una sessantina di vacche piemontesi), con 35 ettari di terreni (in parte in affitto) dove vengono coltivati i foraggi per il bestiame che rappresentano circa l’80% dell’alimentazione della mandria.