Sono quattro le regioni italiane in cui si concentra la maggior parte dei capi ovicaprini: la Sardegna (45%), la Sicilia, il Lazio e la Toscana. Complessivamente, secondo il censimento dell’anagrafe nazionale zootecnica, in Italia ci sono circa 6,9 milioni di capi, di cui 6 milioni di ovini e la restante parte di caprini.
In quattro anni (2019-2023), gli allevamenti attivi si sono ridotti significativamente (circa il -20%), e nell’ultimo anno sono sparite quasi 20 mila aziende, dopo un periodo piuttosto critico soprattutto sul fronte degli aumenti dei costi di produzione.
Nelle regioni più vocate, la tendenza è trasformare l’allevamento naturale in forme più intensive, come evidenziato dai fenomeni di concentrazione in atto da anni, con circa il 6% delle aziende che conta più di 300 capi allevati. La specializzazione produttiva resta il latte (oltre la metà del patrimonio ovicaprino), seguita dagli allevamenti misti carne-latte (27%). La specializzazione in razze da carne è localizzata soprattutto al sud, in Sicilia e Calabria. Nel 2023, la produzione di latte è stata di 435 mila tonnellate: in Sardegna, dove sono stati prodotti i due terzi del latte ovicaprino nazionale, la destinazione prevalente è rappresentata dal Pecorino Romano, la cui produzione è cresciuta del 12,4%.
In ogni caso, come evidenzia il calo di attività registrato lo scorso anno, la filiera sta attraversando un momento complicato: il rischio di un abbandono progressivo dell’attività di pastorizia potrebbe avere ricadute negative sul presidio di territori marginali e sull’indotto occupazionale.