Da borgo alpino a porta dell’Europa

Dall’apertura del traforo del Fréjus Bardonecchia si è scoperta località turistica

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BARDONECCHIA – Da piccolo borgo montano a porta d’Europa. Con la costruzione oltre centocinquant’anni fa (1871) del traforo ferroviario del Fréjus, Bardonecchia è diventata una delle più rinomate località di villeggiatura piemontesi, gioiello dell’Alta Val Susa, a una manciata di chilometri dalla Francia, ma con le radici ancorate al di qua del confine. Città di frontiera, fin dagli inizi del Novecento ha scommesso sullo sport invernale: oggi, con oltre 100 chilometri di piste e 21 impianti di risalita, è tra le stazioni sciistiche più apprezzate, diventando punto di riferimento dello snowboard mondiale (dove aver ospitato le gare di disciplina delle Olimpiadi di Torino 2006), con snowpark all’avanguardia e numerosi tracciati ideali per la tavola.

Dallo scorso autunno, ad amministrare la città c’è Chiara Rossetti, che nel corso del suo mandato dovrà occuparsi anche dell’organizzazione dei Mondiali Special Olympics (2025) e delle Universiadi invernali (2025). 

Sindaca di Bardonecchia Chiara Rossetti

Sindaca, più orgogliosa o spaventata dall’ospitare due eventi così importanti?

«Essere sede di gare è un orgoglio, anche se l’organizzazione sarà sicuramente complessa. Sperando che la pandemia sia un ricordo, ci aspettiamo un afflusso straordinario di visitatori. Tuttavia siamo abituati alla gestione dei picchi: siamo circa 3.000 residenti, ma durante l’alta stagione accogliamo oltre 45 mila turisti».

E dove?

«Principalmente nelle seconde case (12 mila), che negli anni del boom economico si sono moltiplicate. Oggi, molti di questi condomini sono diventati residence, consentendo soggiorni brevi a sciatori ed escursionisti, ma il nostro obiettivo è riportare in auge anche gli storici alberghi (alcuni dei quali ospitarono anche il Principe Umberto di Savoia) per accontentare in modo particolare i turisti stranieri, che cercano strutture ricettive professionali».

Com’è cambiato il turismo?

«La trasformazione è in corso da decenni. I soggiorni lunghi si sono ridotti, le famiglie trascorrono al massimo un paio di settimane da noi. In quei giorni, i visitatori cercano una full immersion nella natura, alla ricerca di emozioni e divertimento. Non manca chi preferisce rifugiarsi in valle per rallentare i ritmi cittadini, ma indubbiamente oggi il turismo è più frenetico e veloce».

Come si è adattata la città?

«Ampliando la propria offerta turistica che non è più solamente invernale, ma abbraccia tutte le stagioni. Da giugno fino a settembre inoltrato, i nostri sentieri si animano di escursionisti e ciclisti in mountain bike, mentre il Palazzetto dello Sport ospita comitive di ragazzi – provenienti da tutt’Italia – per stage estivi di pallacanestro, pallavolo, scherma e tantissime altre discipline».

Quand’è che Bardonecchia ha scoperto questa sua vocazione?

«Senza l’apertura del traforo del Fréjus sicuramente Bardonecchia non sarebbe ciò che è ora. Era un piccolo borgo alpino, basato su un’economia di sussistenza, ed è diventata la porta dell’Europa, con Parigi a meno di 800 chilometri. Siamo a oltre 1.300 metri d’altitudine, ma facilmente raggiungibili. Bisogna ricordarsi che un tempo, le automobili non erano così diffuse: il treno era uno dei mezzi più utilizzati. Per questo, avere una stazione – e molteplici tratte – ci ha facilitato nel farci conoscere e crescere. Ancora oggi i collegamenti ferroviari e autostradali sono fondamentali e, recentemente, abbiamo chiesto d’inserire la fermata di Bardonecchia nella tratta super-veloce Milano-Parigi servita dal Frecciarossa».

Resta qualcosa di quella Bardonecchia rurale oggi?

«Lo spirito alpino resta sempre quello di un tempo. Siamo gente volenterosa, che si impegna e che ama questa terra. In questi anni, ho notato con grande piacere un ritorno di molte persone che, dopo un periodo trascorso altrove, scelgono di rientrare dove hanno radici. Tra queste, anche diversi giovani che, riprendendo le tradizioni dei nonni, hanno riaperto attività di coltivazione delle erbe aromatiche, di miele o di patate».

Alcuni di questi prodotti sono tutelati dal vostro marchio De.Co (Denominazione Comunale di Origine). Crede che la promozione di un territorio possa passare attraverso i suoi piatti tipici?

«Assolutamente sì, il cibo è un linguaggio universale comprensibile a ogni latitudine. Come Amministrazione ci stiamo impegnando per far riconoscere oltre ai prodotti già tutelati, anche la nostra patata e la carne secca.

Sono prodotti molto apprezzati, anche dagli stranieri, che quando vengono assaporati – anche a migliaia di chilometri di distanza – riportano con la mente a questa splendida valle. Quale miglior promozione?».

Ha accennato alle due produzioni tutelate. Di che si tratta?

«Sono il miele della Conca di Bardonecchia, prodotto solo da nettare bottinato al di sopra dei 1.300 metri, in un’area senza fonti d’inquinamento. Un miele particolarmente dolce, davvero apprezzato dai buongustai. E la Soupe Grasse di Bardonecchia, un piatto povero che ricorda le tavole di una volta, quando i pasti si preparavano con poco. Si compone di cinque ingredienti principali: pane di segale, cipolla, formaggio toma, cavolo verza e brodo di carne, con aggiunta di sale e bacche di ginepro».