La storia centenaria della famiglia Ramondetti, oggi a Cherasco

Con una valigia carica di speranza si è imbarcato per l’Argentina: qualcuno gli aveva raccontato che quella terra lontana accoglieva a braccia aperte chiunque avesse voglia di sporcarsi le mani.

E a lui, la voglia di lavorare non mancava. Abituato com’era a faticare in campagna, dividendosi tra i campi e la stalla, sapeva che quell’occasione non gli sarebbe ricapitata. Prima di partire con la moglie, i suoi due fratelli e le loro rispettive compagne, aveva fatto una promessa: se fosse tornato in Italia avrebbe bussato alla porta di quel notaio di Pianfei da cui prestava servizio come mezzadro per raccontargli l’avventura; dal canto suo, il professionista gli garantì consulenze e servizi gratuiti se mai ne avesse avuto bisogno. E ogni promessa, come si dice, è debito. Passarono dodici anni prima del saldo.

L’ARGENTINA

È il 1900 quando Michele Ramondetti, insieme alla moglie Maddalena Tomatis (e altri membri della sua famiglia d’origine), s’imbarca verso il sogno americano. Un mese di navigazione nell’oceano, lo sbarco sulle coste dell’Argentina, la lunga quarantena prima di poter metter piede sulla terra ferma e poi quelle immense distese incolte da trasformare in fertili coltivazioni. La Pampa può essere un terreno inospitale per chi non ha le spalle larghe e le mani robuste, ma per Michele rappresenta l’occasione di una vita per fare fortuna: insieme ai due fratelli si occupa della coltivazione di cereali (grano e mais), dalla semina alla raccolta. Un’attività fiorente che, nel giro di pochi anni, gli permette trasformarsi da manovale a piccolo imprenditore nel campo dell’agricoltura.

Giacomo e Maria, con i figli (da destra) Giovanni, Giacomo, Michelangelo e Caterina

La svolta arriva nel 1912. Un raccolto eccezionale, davvero sopra ogni attesa. Una vendita straordinaria, senza cui il rientro in Italia sarebbe forse stato impensabile. Così, percorrendo la rotta inversa rispetto a quella che molti stavano ancora intraprendendo in quel periodo, Michele e i suoi familiari ritornano nel loro Piemonte, presentandosi alla porta di quell’incredulo notaio.

IL RITORNO

È arrivato il momento di tener fede alla parola data: perché, grazie all’avventura argentina, la famiglia Ramondetti può permettersi l’acquisto di due piccole cascine, poco distanti l’una dall’altra. Quella a Madonna della Neve si trova a Narzole, quella di Montarotto è già nel comune di Cherasco. Nessuna parcella per gli atti di compravendita degli immobili e dei terreni. Il debito è saldato. 

Tra le due sistemazioni, Michele sceglie quella di Cascina Montarotto: qui lo spazio non manca per i suoi cinque figli (3 maschi, 2 femmine), nati dall’altra parte dell’oceano, ma cresciuti alle porte delle Langhe. Come Giacomo (classe 1908), venuto alla luce a General Pico (oggi la seconda città più popolosa della provincia de La Pampa), che poco più che bambino si troverà a doversi occupare della cascina praticamente da solo. Perché papà Michele, scampato alla Grande Guerra, non può nulla contro la terribile influenza spagnola che nel 1918 lo strapperà dalla sua famiglia.

Ma Giacomo non si lascia spaventare dal carico di responsabilità, cresce e continua a lavorare la terra come suo padre gli aveva insegnato. Intanto conosce Maria Alessandria, con cui convola a nozze, e che diventerà la madre dei suoi quattro figli: Michelangelo (1933), Giovanni, Caterina e Giacomo.

La Seconda Guerra Mondiale bussa anche alla porta della Cascina Montarotto, ma fortunatamente Giacomo è richiamato nell’esercito solamente per un breve periodo al fronte, al confine con la Francia. Cessato il conflitto, è il momento della ricostruzione, della ripartenza, con un’azienda agricola che conta una ventina di vacche piemontesi munte a mano.

IL DOPOGUERRA

Se i fratelli percorrono altre strade, tocca a Michelangelo raccogliere l’eredità di famiglia e proseguire in cascina. Nel 1959 si sposa con la coetanea Emilia Stra, di Cherasco, che gli regalerà quattro figli: Maria Pia, Mariangela, Claudio (1963) e Gabriella. Sono anni di lavoro e sacrificio, ma anche di grandi soddisfazioni, come quando nel 1970 Michelangelo riesce ad acquistare dai parenti la vecchia cascina di Madonna della Neve, con la sua stalla, così da ampliare ulteriormente la mandria che, in quel momento, era costituita soprattutto da vacche francesi da ingrasso.

Nel 1978 è l’ora di un altro passo in avanti: si costruisce la nuova stalla e s’installa il trasporto latte per la mungitura. Claudio, che fin da bambino ha sempre dato il suo contributo in cascina, si convince della necessità di puntare sulle vacche da latte. Così, con una transizione graduale, nella stalla prendono posto le frisone,  fino ad arrivare al centinaio. Ma lo spazio non basta, tanto che nel ’90 si rende necessario un ulteriore ampliamento e l’ammodernamento del sistema di mungitura: artigianalmente, Claudio realizza una sala mungitura adattando il vecchio impianto di trasporto latte.

Com’era la cascina alla fine degli Settanta
Come si presenta oggi l’azienda agricola

I GIORNI NOSTRI

Nel frattempo sboccia l’amore: nel 1987, Claudio si sposa con Milena Racca di Cuneo, conosciuta in una serata di divertimento in sala da ballo. Dopo qualche anno arrivano i figli Alberto (1994) e i gemelli Fabrizio e Lorenzo (’96).

In azienda, dopo un risanamento della mandria nel ’94 (con l’inserimento di una settantina di vacche brune alpine), agli inizi del nuovo millennio la trasformazione della stalla e la creazione della vera sala mungitura. L’anno successivo (2001) la voglia di continuare a crescere spinge Claudio a rilevare da un’azienda agricola dei dintorni una cinquantina di frisone, che andranno a rinforzare la mandria in cascina dove nel 2003 si lavora per ampliare ancora la stalla. Intanto Alberto si fa ragazzo, termina gli studi in Agraria, e decide di continuare la tradizione di famiglia. Così nel 2017 gli ultimi importanti investimenti: la ristrutturazione del vecchio capannone e l’acquisto di un robot per la mungitura, in supporto alla sala. Anche perché gli animali da accudire sono quasi quattrocento (180 in mungitura, per una produzione media di 60 quintali di latte) e in questa cascina, comprata dopo un’avventura rocambolesca agli inizi del Novecento, la tecnologia non può mancare.