«Il Nutri-Score minaccia le bistecche»

Le ripercussioni “nascoste” delle alternative sintetiche

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Juicy steak medium rare beef with spices on wooden board on table. dry aged. Served with potatoes and tomato sauce. Still life

È partita l’offensiva alla bistecca.

Ma a ben guardare, dietro la foglia di fico della sostenibilità e della necessità di sostituire le proteine animali con quelle vegetali, c’è il grande business di aziende che propongono prodotti alternativi. Oggi il mercato dei “filetti coltivati” (della carne sintetica prodotta in laboratorio) vale appena l’1% di quello mondiale, ma entro tre anni ci si aspetta che il suo volume di affari superi i 6 miliardi di dollari.

Se non una minaccia, quanto meno una spina nel fianco per l’agroalimentare italiano (che da solo vale 390 miliardi), già duramente attaccato dai prodotti che cercano d’imitare – con scarsi risultati, ma importanti ripercussioni economiche – la tipicità dei nostri cibi. Produrre carne sintetica, secondo alcuni ricercatori inglesi della Oxford Martin School, si immettono in atmosfera il doppio delle emissioni di anidride carbonica rispetto agli allevamenti bovini.

Alla luce di questo, anche sulle motivazioni ecologiche che spingono alla scelta di un prodotto veg bisognerebbe fare delle riflessioni.

E la proposta del Nutri-Score, la cosiddetta etichetta a semaforo che valuta i prodotti alimentari in base alla presenza di grassi, sale e zuccheri non aiuta. Perché, ad esempio, un hamburger vegetale (dove la chimica è assai presente) viene premiato da questo sistema di classificazione, mentre prodotti proteici o animali sono pesantemente vessati. «C’è una campagna di menzogne per valorizzare i prodotti di sintesi e speculare: se le materie prime del cibo sintetico valgono zero rispetto ai costi di produzioni agroalimentari di qualità, tanto più redditizi saranno i cibi di laboratorio», ha dichiarato Luigi Scordamaglia, di Filiera Italia.