CARRÙ – Per chi ama le tradizioni e i sapori di un tempo, l’appuntamento da non perdere è con la Fiera Internazionale del Bue Grasso di Carrù, una delle più antiche in Piemonte, che affonda le sue radici nella nostra storia contadina. Questi gli ingredienti: le prime luci dell’alba, il freddo intenso, i migliori capi di razza bovina piemontese, le giurie di esperti al lavoro, la premiazione con le prestigiose gualdrappe e il piatto principe, il gran bollito di Carrù.
Una manifestazione storica, che si rinnova ogni anno a metà dicembre, e che ha saputo mantenere intatte le caratteristiche dell’epoca in cui è nata, pur rinnovandosi in alcuni suoi aspetti. A raccontarceli è il sindaco di Carrù, avvocato Nicola Schellino.
Si avvicina la Fiera del Bue Grasso, evento principe per questo territorio e che ci porta davvero indietro nel tempo.
«Sì, quest’anno siamo alla 112ª edizione e anche durante il Covid non ci siamo mai fermati, pur limitando la manifestazione alla mostra zootecnica, che è poi la parte centrale della fiera. Per questa edizione abbiamo ancora scelto di limitare i numeri, con i buoi divisi in diverse categorie e i manzi.
Nelle edizioni normali pre-pandemia c’erano anche razze diverse. Tradotto in cifre, significa avere comunque un’ottantina di capi complessivi.
La novità più rilevante, in parte già avviata l’anno scorso, è la votazione per via telematica. Ciascun giurato avrà a disposizione un tablet e il sistema, completamente digitalizzato, non permetterà in alcun modo di associare l’animale all’allevatore. Massima trasparenza, dunque, e innovazione».
La tradizione è invece mantenuta nel premio, che è sempre l’immancabile gualdrappa, giusto?
«Assolutamente sì, gualdrappa che ha la particolarità di essere ancora dipinta a mano, dall’artista Bruno Bianco di Carrù.
Faremo in modo di tramandare questa peculiarità che rende unici i nostri riconoscimenti, proprio perché realizzati manualmente».
Il piatto associato a Carrù è indubbiamente il bollito, ma anche la minestra di trippe e il brodo. Incuriosisce in modo particolare che per la fiera siano serviti fin dalle prime luci dell’alba. La colazione del contadino?
«Esattamente. Anche questa è una tradizione che non abbiamo perso e che viene servita il giorno della fiera, il 15 dicembre. Negli anni ‘30-‘40 gli allevatori arrivavano in paese con i loro animali dopo il viaggio in treno e andavano subito a fare un’abbondante colazione perché poi, fino a cena, sarebbero rimasti digiuni. Ho un inserto del Corriere della Sera, la domenica del Corriere, del 1924, che parla della Fiera del Bue Grasso di allora citando qualcosa come un migliaio di capi e 48 vagoni ferroviari di buoi. Questo per capire cos’era l’evento già 98 anni fa».
Quanto è importante il volontariato nell’organizzazione?
«Ha un ruolo fondamentale. Ai pranzi del bollito no stop ci sono qualcosa come 400 persone, che vuol dire 20 camerieri in sala e almeno 10 in cucina, tutti volontari.
La Pro loco gestisce completamente i pranzi, il Comune mette a disposizione l’ala e ha in capo la fiera più gli eventi collaterali».
Un turismo quindi enogastronomico, associato anche al fatto che Carrù è per definizione la Porta delle Langhe.
Ci sono anche altre proposte per chi viene a trovarvi?
«La sfida mia e dei commercianti è aggiungere cultura all’enogastronomia. Abbiamo già alcune idee, a cominciare dall’apertura dei luoghi simbolo, la chiesa e il castello. E poi stiamo pensando all’installazione di portali per creare questa apertura verso la Langa. Dovrà essere un qualcosa in più per chi viene a pranzo che potrà ancora fermarsi per qualche ora, o soggiornare a Carrù, anziché andarsene via subito».
La fiera è nata dalla tradizione contadina. È ancora radicata questa vocazione a livello locale?
«Sì, è ancora così. Negli anni è cresciuto l’artigianato, abbiamo 84 commercianti, ma la vocazione storica è rimasta quella. Nel tempo è calata la produzione di vino mentre sono cresciuti i produttori di nocciole».
C’è anche un museo dedicato alla razza piemontese…
«È stato inaugurato una quindicina di anni fa. Si trova sulla strada che va a Trinità, presso l’Anaborapi, l’ente che studia la razza bovina piemontese. È stato il primo di tal genere in Italia ed è molto rinomato, ha solo un limite, la posizione decentrata. Se si trovasse in paese, si potrebbe sicuramente sfruttare di più.
Non escludo comunque che un domani si pensi a un museo di storia tradizionale partendo proprio dalla cultura contadina.
Il monumento alla tradizione c’è già, nella piazza dove la Pro loco organizza il bollito no stop, ed è diventato simbolo di Carrù.
Chi viene per il bollito il più delle volte non può mancare di farsi una foto con il monumento alle spalle».
E la confraternita?
«La Confraternita del Bue Grasso di Carrù e del Gran Bollito, ufficializzata da poco, è un altro simbolo della nostra tradizione, di cui andiamo particolarmente fieri, che con la colazione dell’11 dicembre, a base di battuta di carne, darà il via alla nostra grande fiera. Vi aspettiamo».