La tradizione del Carnevale d’Ivrea

Una città storica, oggi Capitale del Libro, nota in tutto il mondo anche per l'industria Olivetti

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IVREA - Fino al 21 febbraio a Ivrea si susseguono i tanti eventi per la festa del Carnevale eporediese, con l’immancabile e attesissima battaglia delle arance che ogni anno attrae curiosi e appassionati dal Piemonte, da tutta Italia e anche dall’estero. Ma Ivrea non è soltanto questo, è una terra di importante produzione vinicola e lega ancora oggi il suo nome alla storica azienda Olivetti.

Ne parliamo insieme al sindaco, di origini valtellinesi e da trent’anni qui residente, Stefano Sertoli.

Una veduta della storica città di Ivrea

Ogni anno il Carnevale di Ivrea riporta a vivere un sogno fatto di storia, tradizione, spettacolo ed emozioni. Un evento conosciuto in tutto il mondo che ha anche un grande valore simbolico.

«La peculiarità del nostro Carnevale credo stia soprattutto nella partecipazione di qualcosa come 12 mila attori, protagonisti dell’evento, e sono davvero tanti per una città di 23 mila abitanti. Un Carnevale completamente diverso da quella che può essere la sfilata dei carri.

Per noi di Ivrea, ma anche per molti che arrivano da lontano, è un evento importante che crea grande attesa, quest’anno ancora di più dopo i due anni e mezzo di assenza a causa del Covid.

Nel 2020 eravamo stati interrotti dopo il primo giorno di festeggiamenti per via della pandemia. Un aspetto fondamentale del Carnevale è anche il forte senso di appartenenza, quello che poi fa sì che la tradizione continui nel tempo».

Ma come mai si lanciano le arance?

«Si racconta che re Arduino istituì lo ius prime noctis e una sposa si ribellò, addirittura mozzò la testa al re. Seguì la rivolta del popolo con lancio di pietre, che poi nelle rievocazioni sono diventate arance. Ancora oggi nelle nostre rappresentazioni la mugnaia e il generale sono tra i principali personaggi, con una cerimonia ufficiale in cui il sindaco consegna le chiavi della città al generale. È un evento unico nel suo genere, occorre viverlo per capirlo e ci entusiasma ogni volta scoprire l’interesse da persone giunte da altri Paesi».

Ricorda turisti del Carnevale di Ivrea in particolare che sono venuti in questi anni?

«Non posso dimenticare un giapponese. Quando lo incontrai mi disse che da dodici anni veniva a Ivrea a tirare le arance. E poi la visita della console americana, che rimase letteralmente entusiasta».

A proposito di sicurezza, in molti si fanno male?

«I numeri in questo senso stanno calando. Nei tre giorni di battaglia in passato erano 800 diciamo i feriti, adesso siamo attorno alle 600-700 persone che ricorrono a delle cure, che vanno da infortuni minimi a fratture, a volte perché si scivola sullo strato di arance mischiato a quello che lasciano i cavalli.

L’occhio nero è un classico e l’arancere lo considera anche una sorta di onore. Chi è sui carri deve comunque indossare delle protezioni, comprese le maschere per proteggere la testa e il volto, che sono pezzi unici, originali, realizzati a mano da artigiani del posto».

Quante arance vengono lanciate nei tre giorni di battaglia?

«I quantitativi sono enormi, parliamo di tonnellate di frutta che vengono acquistate direttamente dalle varie squadre, con pile e pile di cassette di arance che prendono posto nelle varie piazze prima dell’evento. Sono frutti normalmente non destinati alla vendita, di scarto». 

Quanto è importante la partecipazione dei volontari?

«Abbiamo una forte presenza di volontariato nelle varie associazioni che si prodigano per aiutare la comunità. Nel caso di eventi come il Carnevale, non possiamo ovviamente affidarci soltanto ai volontari, poiché una simile manifestazione richiede una preparazione e una macchina organizzativa con competenze e impegno che vanno oltre la buona volontà».

Quali sono i prodotti del territorio?

«Il territorio è agricolo ma nel tempo si sono aggiunte le industrie. La grande industrializzazione corrisponde allo sviluppo della realtà olivettiana: Olivetti nella progettazione urbana e rurale aveva dato come indicazione che in ogni valle ci fosse una fabbrica, per non spostare le persone. Per questo non si è formata una periferia industriale. Tra le nostre eccellenze, i vini doc Erbaluce e Carema».

A Ivrea si lega appunto il nome della Olivetti, una delle più importanti aziende al mondo nel campo delle macchine per scrivere, da calcolo e dell’elettronica. Che cosa rimane oggi di quel periodo?

«Lo spirito olivettiano si respira ancora moltissimo.

Il museo a cielo aperto di Olivetti si snoda tra le strutture avveniristiche volute dal fondatore Adriano e ci ha aiutato ad ottenere il riconoscimento dall’Unesco come patrimonio dell’industria del ventesimo secolo».

Ivrea, prima capitale d’Italia con re Arduino, oggi si fregia anche del titolo di capitale del libro.

«Sì, abbiamo ricevuto questo ambìto riconoscimento legato alla cultura, risultando i migliori tra sedici candidati.

Un traguardo importante, dovuto sicuramente anche al fatto che la città ospita un altissimo numero di librerie.

Un risultato reso possibile soprattutto grazie al notevole impegno dell’assessore alla Cultura Costanza Casali».