SOMMARIVA BOSCO
Se non avessero incontrato una folla rabbiosa a sbarrare loro l’accesso al molo, forse si sarebbero imbarcati su quella nave che prometteva fortuna dall’altra parte dell’oceano, in un’Argentina ormai diventata casa per molti italiani.
Ma quell’inverno del 1900 i portuali di Genova incrociarono le braccia, bloccando un’intera città e cambiando per sempre il destino di Michele Fissore e della moglie Eleonora Racca che, arrivati con un carico di valigie e di speranze, ritornarono a casa nella campagna sommarivese, continuando quell’avventura che Lorenzo (padre di Michele) aveva iniziato a fine Ottocento.
Era stato lui a sottoscrivere i primi atti di compravendita di quella che oggi è l’azienda agricola San Giovanni, così chiamata in onore del santo cui è dedicata la cappella della frazione Tavelle, là dove Sommariva Bosco inizia e i confini di Cavallermaggiore si fermano.
PRIMA DELL’UNITÀ D’ITALIA
L’Italia unita doveva ancora arrivare, era il 1856, quando Lorenzo si accordò con Pietro Tavella (proprietario terriero da cui probabilmente deriva il nome della frazione) per comparare alcuni appezzamenti nei dintorni del grande casolare abitato da una cinquantina di persone: un cascinale, suddiviso in cinque case differenti, che ospitavano altrettante famiglie. Una vera e propria comunità, dove la manodopera non mancava, così come i prodotti della terra.
Ma per quasi ottant’anni da quelle firme, in quella cascina la famiglia Fissore non ci abitò.
Lorenzo aveva preso in affitto un casolare poco distante, dove crebbe i suoi tre figli: tra loro c’era Michele, che agli inizi del Novecento venne affascinato dal sogno americano, ma fu nella terra piemontese che trovò la sua fortuna.
Padre di 7 figli (due piccoli gemelli morirono ancora in fasce), si caricò sulle spalle il peso dell’attività di famiglia e la traghettò negli anni difficili del primo conflitto mondiale. Poco prima dello scoppiò della guerra, nacque Sebastiano (1905) il primo ad abitare tra le mura comprate dal nonno.
IL TRASFERIMENTO
Troppo giovane per essere chiamato alle armi (aveva appena dieci anni), trovò l’amore in Maddalena Casale Alloa (classe 1908): dopo il matrimonio, per un po’ visse ancora nel casolare in affitto dov’era cresciuta la sua famiglia, ma nel 1935 decise di ristrutturare una porzione del grande casolare dell’azienda San Giovanni e di trasferirsi con la moglie sposata tre anni prima.
Nello stesso anno nasce il primogenito Michele, seguito poco dopo da Eleonora (1937) e poi da Giuseppe (1946).
Davanti alla casa c’erano due stalle: una decina di vacche piemontesi, qualche gallina e due cavalli. Ogni mattina il rito della mungitura a mano, il latte raccolto nel bidone che veniva lasciato lungo la strada, in attesa che il carrettino passasse per raccoglierlo e portarlo al caseificio: la direzione era Cavallermaggiore, nel laboratorio di Ferruccio Biraghi, che dal lodigiano si era da poco trasferito in Piemonte per dar vita a quella che oggi è una delle più importanti realtà del settore lattiero-caseario italiano.
Gli anni della Seconda Guerra Mondiale furono complicati, ma fortunatamente nessuno della famiglia Fissore rimase direttamente implicato in quella tragedia: solamente Eleonora, la secondogenita, mentre era al pascolo poco distante dalla cascina, rischiò di essere ferita durante il terribile bombardamento aereo che nel ’44 distrusse completamente la stazione ferroviaria di Cavallermaggiore, a una manciata di chilometri in linea d’aria.
IL DOPOGUERRA
Il dopoguerra fu il momento della rinascita e della crescita dell’azienda agricola: mentre Michele trovò impiegò in fabbrica, Giuseppe seguì le orme paterne affiancando il genitore nel lavoro dei campi e nella stalla. Con biga e cavallo, erano soliti girare per le cascine e le fiere di paese per mettere in mostra i propri tori da riproduzione, iscritti all’albo genealogico, particolarmente richiesti tra gli allevatori.
Il progresso fece la sua prima comparsa nel 1952, quando Sebastiano acquistò il primo trattore e da quel momento la “rivoluzione” non si fermò.
Così come la famiglia, che crebbe di numero: Giuseppe conobbe Domenica Gili (classe 1949) di Savigliano in una sala da ballo del fossanese e ben presto divenne compagna di vita (1973), poi madre di Milena (1976), Sebastiano (1980) ed Manuele (1984).
LE VACCHE DA LATTE
Le prime vacche frisone fecero la loro comparsa agli inizi degli anni Novanta, quando Giuseppe decise di affiancarle alle piemontesi nella stessa stalla: gli animali venivano munti ogni giorno con il carrellino, in attesa della grande rivoluzione del 2003. Fu in quell’anno che, completati gli studi di Agraria, Manuele decise con il fratello Sebastiano (da sempre in cascina, nonostante diversi impieghi fuori dall’azienda agricola) di puntare sulla produzione di latte: venne costruita una nuova stalla con i nuovi criteri di benessere animale, fu realizzata la sala mungitura e si acquistò una piccola mandria di vacche olandesi che nel 2007 rimpiazzarono completamente le ultime piemontesi rimaste. Nel 2017 lo spazio a disposizione degli animali venne raddoppiato, accompagnando l’aumento della produzione di latte (dal 2014 le vacche vengono munte tre volte al giorno) a un adeguamento tecnologico (come l’utilizzo dei collari per monitorare la salute delle bestie) e a un attento investimento sulla genetica della mandria, per avere animali altamente produttivi in un prossimo futuro.
Futuro che potrebbe portare il nome di Edoardo (2010), primogenito di Sebastiano, che nel 2007 si è sposato con Stefania Albarello, mamma anche di Matilde (2013); anche Manuele ha accresciuto la famiglia: con la moglie Chiara Gotta (sposata nel 2013) è papà di Anna (2014) e Adele (2018). Tutti assieme vivono in una casa bifamiliare costruita poco distante dall’azienda agricola, a meno di 200 metri, ma formalmente già in un altro paese, quello di Cavallermaggiore, dove Manuele è anche consigliere comunale con la delega all’Agricoltura, oltre a rivestire l’incarico di rappresentante del settore lattiero della sezione provinciale di Confagricoltura.